L'aggressione.
Mi
trovavo in quel periodo in vacanza estiva in una delle due campagne dei
miei nonni, e precisamente in quella di Oliveti gestita dai miei zii e
mia nonna Dalzovo Teresa, mentre l'altra in prossimità di Zavia era
gestita da altri miei zii con mio nonno Sella Giuseppe. Eravamo nel
1959, verso i primi di Luglio, ed io pur se ragazzino, partecipavo
attivamente durante le vacanze scolastiche ai vari lavori necessari nel
podere agricolo, del resto come tutti gli altri ragazzi e ragazzini
residenti nelle campagnie libiche, tutti dovevano contribuire secondo
le loro possibilità. Ricordo il primo giorno che arrivai a Tripoli
dall'Italia, arrivammo verso mezzogiorno al podere, e dopo i saluti
baci ed abbracci, ci sedemmo a tavola per pranzare, ricordo che mia
nonna aveva preparato tagliolini fatti in casa in brodo di gallina, e
mentre pranzavamo mio nonno fra i vari discorsi che in quel momento
mantenevano la fervida conversazione, e le insistenti domande per la
forte curiosità dei miei zii sull'Italia, lui sbottò dicendo "Qui tutti
devono lavorare, piccoli e grandi, tutti devono essere utili, non ci
sono vagabondi e nulla facenti, e anche voi se volete mangiare dovete
lavorare", so che queste ultime parole ferirono fortemente mio fratello
Gerardo, per il modo e forse il momento sbagliato, molte volte gli
adulti peccano di delicatezza verso i piccoli, non pensano che anche se
piccini i ragazzi o ragazzini accusano certe parole, che rimangono
dentro come macigni.
Quindi
bisognava lavorare se volevamo mangiare.... Il nostro lavoro come
ragazzini, comprendeva la cura degli animali in stalla, pulizia e
mungitura, taglio dell'erba medica, cambio della colonna di irrigazione
ogni mezz'ora, se eravamo nel periodo del raccolto, lavorare con gli
zii, sotto la loro attenta e continua sorveglianza, come tutti voi del
resto che avete vissuto in quella terra, lavori normalissimi insomma.
Mi divertivo moltissimo, ed ero entusiasta della vita in campagna, fra
i vari compiti che si eseguivano, avvicendandoci con i miei zii più
giovani, c'era quello dell'approvvigionamento del pane, si perché non
si produceva più nel forno del podere, ma veniva prodotto da un forno
situato nella cittadina di Zavia, il quale lo consegnava a domicilio
con un furgoncino, ma solo ai clienti lungo la statale che portava a
Tripoli, dove per fortuna si trovava il podere di mio nonno. Pertanto
al mattino verso le nove massimo le dieci, bisognava che qualcuno si
recasse nell'altro podere che distava circa quattro chilometri da
quello di Oliveti, per ritirare il pane lasciato lì dal fattorino del
forno. Per fare quel percorso di solito si usava la bicicletta
Balloncino, un tipo di bici con le ruote molto più larghe del normale,
e con il freno a pedale situato nel mozzo della ruota posteriore, si
usava la bici con le ruote quasi a metà pressione, questo per evitare
che sprofondassero nella morbida sabbia. Per raggiungere il podere
sulla statale bisognava percorrere la carovaniera Zavia-Oliveti, che
era situata fra la costa e la statale per Tripoli unica strada
asfaltata, in quel periodo, il risentimento dei locali verso gli
italiani era cresciuto esponenzialmente, i giovani locali, ci
insultavano, tiravano pietre, ci sputavano, pertanto girare da soli per
le strade di campagna era diventato rischioso.
Quando
mia nonna mi chiese di andare a prendere il pane all'altro podere,
rimasi piuttosto preoccupato, perché non era la prima volta che un
gruppo di ragazzi tentava di portarmi via la bicicletta correndomi
dietro, e ne ero certo che se mi avessero raggiunto mi avrebbero anche
riempito di botte, perché erano sempre armati di bastoni. Il punto dove
preferivano fare l'agguato era situato lungo il tratto di strada che
collegava la carovaniera alla statale, perché essendo quel tratto
costeggiato su ambo i lati da alberi di eucalyptus, si prestava a degli
ottimi nascondigli, oltre alla possibilità di nascondersi nel fossato
che separava gli eucalyptus dall'inizio della proprietà adiacente,
fossato di un metro circa di larghezza per un metro e venti circa di
profondità, serviva a far si che la sabbia portata dai venti dopo aver
impattato sugli alberi cadesse nel fossato, anziche coprire le piantine
che fossero in produzione nel vicino podere. Spiegai a mia nonna la mia
preoccupazione, e gli chiesi di poter prendere la cavalla invece della
bici quel giorno, lei acconsentì dopo infinite raccomandazioni, sapeva
benissimo che un cavallo è più pericoloso di una bici per un ragazzino.
Rincuorato, montai a cavallo, e senza sella e briglie, con un leggero
colpo di tallone sulla pancia della cavalla, mi avviai a prendere il
pane. Arrivato al tratto di strada degli eucalyptus la mia attenzione
era al massimo, cercavo di individuare ogni più piccolo movimento
sospetto ed inusuale, e quando ero a circa metà percorso, ad un tratto
lentamente, a circa venti metri di distanza apparvero quattro ragazzi
dai tredici ai sedici anni, con dei bastoni in mano, la cavalla si
arresò immediatanente, ed era irrequieta, non mi feci prendere dalla
paura, e mi voltai perché ero sicuro di averne altri dietro di me, e
così era infatti, altri cinque ragazzi della stessa età di quelli che
avevo di fronte mi chiudevano l'eventuale mia inversione di marcia. In
un attimo realizzai che se non volevo perdere il cavallo ed essere
riempito di botte anche, dovevo decidere subito il da farsi, perché
lentamente stavano restringendo il cerchio ed erano ormai molto vicini.
Strinsi
forte la criniera e diedi un forte colpo con i talloni sulla pancia
della cavalla, e lei come se fosse stata consapevole del pericolo, si
alzò dritta sulle due zampe posteriori nitrendo fortemente, per poi
partire come un fulmine in avanti, travolgendo tre dei ragazzi che si
trovavano davanti a lei, io ero aggrappato fortemente alla criniera e
seppur con fatica riuscii a non cadere, girandomi indietro c'èra solo
una nuvola di povere, era impossibile vedere i danni prodotti, ma le
sorprese non erano finite, avendo loro fatto esperienza dei precedenti
agguati falliti, quando ero in bici, avevano posizionato altri tre
ragazzi sui diciotto-venti anni quindi più grandi, penso loro parenti,
per l'eventuale mal riuscita del primo agguato, e questi erano molto
decisi, avevano dei lunghi bastoni, tirai la criniera della cavalla
sulla destra, lei capì immediatamente, e infilandosi fra due eucalyptus
spiccò un salto sul fossato, galoppando come non l'avevo vista mai,
arrivato in prossimità della statale faticai non poco a farla
rallentare, saltando il piccolo fossato, raggiunsi il podere di mio
nonno, sempre con la massima attenzione, non volevo altre sorprese.
Spiegando l'accaduto, e il comportamento della cavalla, mio nonno mi
disse facendomi notare le evidenti cicatrici che aveva sui fianchi,
quelle erano cicatrici lasciate dagli speroni... perché la cavalla
faceva parte della Compagnia Lancieri a Cavallo della Libia, aveva
partecipato a suo tempo ad azioni di guerra. Lui l'aveva acquistata
dall'esercito, quindi l'animale conosceva perfettamente tutti i
comandi, anche senza sella o briglie, era perfettamente ubbidiente,
pertanto aveva capito perfettamente la situazione di pericolo, agendo
al comando di conseguenza, mi disse "Il colpo forte che gli hai dato
sui fianchi gli ha fatto capire quale doveva essere la sua reazione, e
lei senza indugio ha reagito, togliendoti dai guai". La bici che usavo
era molto bella e faceva senza dubbio gola a quei ragazzi, e con
accanimento avevano ripetutamente tentato di portarmela via, quel
giorno certo non si aspettavano che arrivassi con il cavallo, e dato
che non li vidi più, sono convinto che qualcuno di loro si era fatto
male seriamente, quel giorno, e dovendo dare spiegazione ai genitori,
gli fosse stato proibito di continuare ad importunarmi!
Da
quel giorno la cavalla ai miei occhi aveva un altro aspetto, e quando
potevo gli allungavo un mezzo secchio d'orzo e qualche mela o carota.
l'anno dopo quando tornai per le vacanze estive seppi dai miei zii con
molto dispiacere che purtroppo era deceduta, fu un colpo di sole che
mise fine ai suoi giorni, forse essendo avanti con gli anni non aveva
resistito, e durante l'aratura si era accasciata sulla morbida sabbia,
mi indicarono il luogo della sua sepoltura, vicino alla vasca
dell'acqua accanto al canneto all'ombra di un grande fico! Andavo
spesso a trovarla, l'affetto che da ragazzini proviamo per gli animali
a noi cari, rimane sempre con noi, anche quando gli anni passano, e
diventiamo per le prove a cui ci sottopone la vita meno sensibili...
quei ricordi restano picevolmente sempre con noi.
Raffaele Favatà - R@ff